Rientro dei capitali (volontary disclosure): il punto
10/12/2014
Al secondo tentativo e a otto mesi dall’insabbiamento del DL 4/14 sulla voluntary disclosure (governo Letta), il provvedimento sul rientro dei capitali e l’emersione del nero “domestico” è diventato legge. In meno di due settimane il Senato ha licenziato il testo votato il 16 ottobre scorso dalla Camera. Testo bloccato, approvazione «tassativa» entro l’anno fiscale (che scade il 31 dicembre, appunto) anche e soprattutto per il gettito che il Mef attende dall’operazione. La legge da oggi c’è ma non risolve definitivamente il tema dell’autoriciclaggio. Il nuovo reato colpirà gli evasori fiscali, è chiaro, tranne quelli che aderiranno alla voluntary. Il problema è che la norma, per come è formulata e per quello che non dice, rischia di rimettere alle procure dalla finestra (reati societari) quello che è uscito dalla porta.
L’Agenzia delle Entrate ha già messo in consultazione online il modello da utilizzare per la collaborazione volontaria: viene confermata una forma snella e sembra che la procedura potrà essere gestita per buona parte in forma telematica. Nel modello, in particolare, va specificato di quale disclosure si tratta, internazionale o nazionale, e i dati e i recapiti del soggetto aderente. Inoltre vi sono tre opzioni che possono essere esercitate. È infatti prevista: la facoltà di avvalersi degli effetti dello scudo fiscale, invocando quindi la copertura che tale istituto prevedeva; la facoltà di accedere alla tassazione dei rendimenti sulla misura forfetaria del 5%, per le regolarizzazioni sotto i due milioni; la possibilità di pagare, in luogo che in un’unica soluzione, in tre rate mensili. C’è poi l’obbligo di indicare i soggetti collegati. Qui sembra si dovrebbe trattare dei soggetti che presentano la domanda di voluntary disclosure unitamente all’aderente e non già dei soggetti del tutto terzi rispetto alla procedura. Nel modello vengono distinte le attività in paesi black list, le attività in paesi black list con accordo per scambio di informazioni e le attività in paesi non black list. Nel modello vanno infine individuate le attività estere alla data di emersione e ovviamente gli imponibili da regolarizzare.
La procedura di collaborazione volontaria, approvata ieri definitivamente dal Senato, consente di regolarizzare le attività detenute illecitamente all’estero con un meccanismo che prevede il pagamento dell’intero ammontare delle imposte evase, ma con notevoli abbattimenti delle sanzioni e con il vantaggio della non punibilità per i reati tributari (esclusi quelli di emissione di false fatture e occultamento delle scritture contabili), nonché di quelli di riciclaggio e – fino al 30 settembre 2014 – di autoriciclaggio. Il costo della procedura è molto variabile in dipendenza del comportamento del contribuente nei periodi accertabili, della composizione del patrimonio e dello Stato in cui si trovano le attività. L’onere maggiore si verifica se le attività si trovano in uno Stato black list che non abbia firmato, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma, un accordo che consenta un effettivo di scambio di informazioni anche con riferimento al periodo dalla firma dell’accordo alla sua entrata in vigore.
Per determinare le sanzioni applicabili per l’evasione delle imposte sui redditi si deve distinguere i redditi prodotti in Italia da quelli prodotti all’estero. Per quanto riguarda l’Iva, la sanzione, in caso di infedele dichiarazione, è normalmente del 100%, ma viene aumentata del 25% in applicazione del cumulo giuridico ai sensi dell’ultimo comma dell’art.12 del D.Lgs. n.472/97. Aderendo alla procedura, viene ridotta del 25% e aderendo all’invito al contraddittorio è ulteriormente ridotta a un sesto. Un fondamentale vantaggio della collaborazione volontaria, anche rispetto alla nuova procedura di adempimento volontario (sostitutiva del ravvedimento operoso) prevista dal DDL di Stabilità 2015 consiste nella previsione che nel caso di conti correnti o depositi detenuti da più soggetti (come è noto si considera detentore anche chi pur non essendo titolare del conto ha una delega di firma) il totale del rapporto si considera detenuto, ai fini del quadro RW, da tutti i detentori in parti uguali. Si scongiura così la moltiplicazione delle sanzioni in funzione del numero di soggetti delegati.
Con la previsione del delitto di autoriciclaggio i reati tributari potranno costituire i delitti fonte per la commissione del nuovo delitto. In base alla nuova norma, commette autoriciclaggio chiunque, dopo aver commesso un delitto non colposo da cui derivano denari, beni o altre utilità, provvede al loro impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Dinanzi a reati tributari la possibilità (anche involontaria) di commettere il nuovo delitto è elevata. La Cassazione (sezione III penale, n. 43881/14) ha chiarito che integra il reato di riciclaggio sia qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, sia il mero trasferimento di denaro di provenienza illecita da un conto bancario a un altro diversamente intestato. L’espressa esclusione della punibilità di questo nuovo delitto fa chiaramente dedurre che esso può essere commesso anche con riferimento a manifestazioni illecite relative a reato commesso prima dell’entrata in vigore della norma. Per quanto riguarda le pene, in caso di autoriciclaggio di somme provenienti da reato tributario queste variano a seconda del tipo di delitto tributario commesso: si rischierà la reclusione da due a otto anni e la multa da 5mila a 25mila euro in tutti i casi in cui il delitto fonte sia la dichiarazione fraudolenta (con o senza fatture false), l’emissione di false fatture e la sottrazione fraudolenta aggravata; si andrà invece incontro alla reclusione da uno a quattro anni e alla multa da 2.500 a 12.500 euro qualora il reato fonte sia uno degli altri delitti tributari.