Dalla Danimarca alla Spagna, ecco i paesi dove il 730 compilato è già realtà.
14/05/2014
I circa 4,5 milioni di contribuenti danesi ricevono già tutti il modello a casa. In Francia, invece, il progetto pilota datato 2005 non è ancora completamente decollato. A regime i risparmi potrebbero aggirarsi su un miliardo di Euro l’anno.
La scommessa danese sulla pre-compilazione risale al 1988. Oggi, dopo più d'un ventennio, la Danimarca può fregiarsi del copyright. I numeri, relativi alle ultime annualità, parlano chiaro. In pratica, il 100% dei contribuenti individuali, all'incirca 4,5 milioni, ricevono ogni anno la rispettiva dichiarazione dei redditi già ben trascritta e dettagliata in ogni minimo particolare, ovvero, con l'indicazione dello stipendio, di eventuali interessi, dividendi, capital gains, deduzioni, detrazioni ed esenzioni. Insomma, l'intero profilo tributario aggiornato. A questo punto, in media, soltanto il 6% dei contribuenti rinviano ad ulteriori modifiche intervenute in corso d'anno e non registrate sulla loro dichiarazione. Si tratta d'una quota da primato, minimale, alla quale però ci si è avvicinati dopo anni di studi e di modifiche nella gestione del sistema. Comunque, oggi l'agenzia delle Entrate danese, e poche altre, generalmente nordiche con rare eccezioni, Cile e Spagna in testa, possono esibire risparmi pari, in media, a circa 100-150 milioni di euro l'anno. Poco o tanto? La questione del risparmio sostanziale introduce direttamente sull'effettività della convenienza di un tale nuovo meccanismo.
Si allunga la lista degli Stati che scommettono sulla dichiarazione dei redditi precompilata. Con un alternarsi di successi e di insuccessi, e di vittorie rimandate. In Francia, il progetto pilota risale al 2005, investimenti cospicui ma risultati modesti, infatti, a distanza di anni soltanto il 13% dei contribuenti riceve la dichiarazione precompilata.
In Lituania è stata superata l'asticella del 30%, e ancora più soddisfacente è la doppia performance messa a segno dal Sud Africa e della Turchia, entrambi con una quota del 34% di precompilato. Al contrario, ottimi gli obiettivi messi a segno da Singapore e Nuova Zelanda, dove la precompilata ha già raggiunto rispettivamente il tetto del 51% e del 42 per cento.
Tre i punti che tratteggiano il quantum legato al risparmio del pre-compilato. Innanzitutto, la diminuzione dei costi connessi al trattamento delle dichiarazioni successivamente al loro invio da parte dei contribuenti. Nel caso della precompilata, infatti, queste fasi procedurali quasi si estinguono, essendo ora il ruolo dell'Amministrazione inverso rispetto alle procedure tradizionali. Al contempo si riducono gli errori con tutto ciò che questo comporta. Naturalmente, il calcolo del risparmio netto, stimato intorno ai 100-150 milioni di euro per Amministrazioni come quella danese, o austriaca, balzano in avanti, fino a sfiorare il miliardo di euro l'anno, a regime, per agenzie delle Entrate il cui flusso di dichiarazioni oltrepassa il limes fiscale dei 10 milioni di modelli l'anno. E questo, per esempio, sarebbe il caso dell'Italia. Insomma, i risparmi sono proporzionali al numero dei contribuenti. Il terzo punto, anch'esso strategico, si riferisce all'impatto positivo sulla predisposizione dei contribuenti nel loro rapporto col fisco, con le tasse e con l'amministrazione. Infatti, la cancellazione in agenda degli appuntamenti rituali con i giorni dedicata alla compilazione e consegna della dichiarazione dei redditi determinerebbe, almeno nel nostro Paese, un balzo in avanti nella percezione di benessere fiscale. Oltre ai considerevoli risparmi di spesa. Di fatto, quindi, la dichiarazione pre-compilata determina un salto in avanti della tax compliance registrata nei Paesi che la adottano.
L'entusiasmo in materia è ammesso ma necessita attente riflessioni. Innanzitutto, l'avvio d'una procedura fondata sull'invio di testi e modelli pre-compilati richiede, in fase sperimentale, almeno un triennio, un quinquennio per alcuni Paesi, per esempio il Cile, di sforzi congiunti e di modifiche nient'affatto marginali. E questo prima che i bilanci delle Amministrazioni migrino dalla voce delle maggiori spese a quella dei minori costi. Si tratta quindi di un piano che dovrà essere ben mirato. Conseguentemente, un eventuale realizzo a portata di calendario, se non di mano, dovrebbe fare i conti con l'expertise informatico, oltre che con i dati fattuali ad oggi disponibili in materia. Questo però non deve fermare l'adozione della pre-compilata, piuttosto deve stimolare una attenta elaborazione progettuale, ben mirata e misurata. Il caso spagnolo al riguardo è simbolico. Ad oggi, la metà dei contribuenti ricevono la dichiarazione dei redditi pre-compilata ma di questi quasi un quarto, il 22% per l'esattezza, richiedono d'apportare modifiche aggiuntive. In Cile si raggiunge persino il 43%, mentre in Islanda, a causa d'una problematica normativa relativa alla tracciabilità degli interessi, ogni anno più del 50% delle dichiarazioni tornano indietro senza aver ricevuto l'ok da parte dei contribuenti. Questa lunga sequenzialità di richieste e di modifiche si trasforma in una lunga e complessa migrazione di dati e di rapporti sequenziali. E così milioni di dati e di modelli s'accumulano e transitano in Rete traducendosi in tempi più estesi e, in definitiva, in maggiori costi, soprattutto sul versante pubblico.