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Dogane, solo il giudicato ferma l’esecutività

21/11/2014
Con l’entrata in vigore, il 25 novembre prossimo, dell’art.10 della L. n.161/14 (legge europea 2013 bis), nei contenziosi tributari in cui è parte l’Agenzia delle Dogane non basterà ai contribuenti ottenere una pronuncia favorevole per arrestare le procedure esecutive (in assenza di pagamento spontaneo o della prestazione di una garanzia) conseguenti ad atti di accertamento relativi a dazi o a Iva all’importazione: sarà, infatti, neces­saria la formazione del giudicato sulla pronuncia di annullamento. La modifica normativa introduce il co.3 bis all’art.68 del D.Lgs. n.546/92 (concernente il processo tributario), stabilendo che «il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali ... e dell’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione resta disciplinato dal regolamento (Cee) n. 2913/92, come riformato dal regolamento (Ue) n. 952/2013 ... e dalle altre disposizioni dell’Unione europea in materia». Lo scopo che sembra perseguire il Legislatore, sulla falsariga della recente prassi seguita da alcuni uffici doganali, è quello di rendere esecutiva la sentenza del processo tributario in materia doganale solo per la dogana, che potrà riscuotere i dazi (e l’Iva all’importazione, che non è “risorsa propria”) dovuti in base all’accertamento sia in caso di sentenza favorevole all’amministrazione, sia in caso di annullamento dell’atto impugnato. La nuova norma si pone in palese contrasto con il diritto a una tutela giuri­sdizionale effettiva affermato dalla Corte di giustizia fin dalla sentenza della Grande sezione del 19 giugno 1990, causa C-213/89, e con l’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Sul piano interno, l’art.10 cozza con la pronuncia della Corte costituzionale del 29 marzo 1961, n. 21, che dichiarò illegittimo l’art.6 della L. n. 2248/65, allegato E, contenente il principio del “solve et repete”, stante il suo contrasto con gli artt.3, 24 e 113 della Costituzione.
 

 

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